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Bergamo – Un giardiniere al Don Orione

Bergamo – Un giardiniere al Don Orione

Don Luigi Pastrello, sacerdote orionino, si trova al Centro Don Orione di Bergamo. Gli ospiti della struttura gli hanno rivolto un invito, a cui non ha potuto dire di no: “Don Luigi, la pandemia ci sta rovinando la vita. Vogliamo riprendercela in mano. Rifacciamo il giornalino, ci aiuta a sentirci vivi. Il primo articolo lo devi fare tu. I nonni vogliono sapere tutto di te”.

Ecco le sue parole, il racconto della sua storia di uomo e di sacerdote.

Di fronte ad un invito tanto perentorio, ma fatto con il sorriso, non posso che chinarmi sul computer e cercare di scrivere qualche cosa.

Anagraficamente mi chiamo Luigino, molti però mi chiamano semplicemente Luigi. Sono nato alla fine della guerra (la seconda!). Mi hanno raccontato, ma forse è solo una leggenda, che sono nato sotto i bombardamenti. L’ospedale era stato colpito dalle bombe. Mio padre, militare con qualche giorno di congedo, avrebbe tratto in salvo prima me e poi mia mamma. Il figlio maschio prima di tutto!

Mi hanno anche raccontato, ma forse anche questa è solo una leggenda, che una volta a casa, mia nonna paterna mi ha preso in braccio ma mi ha riconsegnato subito a mia madre dicendo, in dialetto: “Mamma che bruto tosato che te ghe fato. Ciapa, ciapa cara, el xe bruto come ea fame. Con sta boca no basta do brassi par darghe da magnar”. (Mamma mia che brutto figlio che hai fatto. È brutto come la fame. Con quella bocca non basteranno due braccia per sfamarlo…).

Papà ha rispettato la mia scelta di diventare sacerdote, anche se come figlio maschio unico avrebbe sognato cose diverse. Più difficile è stato invece per mia mamma e mia sorella maggiore. Con la sorella minore, una volta adolescente, c’è tata una grande complicità. Il giorno della mia ordinazione, c’è stato un lungo, lunghissimo abbraccio a cinque. Eravamo davvero tutti felici.

Sono approdato a Bergamo, dopo diverse esperienze, le ultime delle quali vissute con i disabili. Con loro ho scoperto un mondo di relazioni, di amicizia, di sincerità, di spontaneità e di affetto inimmaginabili se non si sperimentano e non si condividono nella vita di tutti i giorni.

Se dovessi riassumere in poche parole il mio stato d’animo, potrei solo scrivere di essere sostanzialmente felice. La Providenza mi ha condotto su sentieri sempre nuovi, e i superiori mi hanno affidato incarichi e responsabilità diversi: dagli oratori alla parrocchia, dalla animazione di gruppi giovanili alla amministrazione, dalla formazione alla cura dei disabili…

Per esigenze insite nelle mie responsabilità ho dovuto viaggiare parecchio: dodici anni in Francia nella grande periferia parigina, in Madagascar, in diverse Nazioni dell’est Europeo, dell’Africa, dell’America del Sud e anche dell’Asia. Ho vissuto sempre esperienze nuove, arricchenti e che, credo di poter affermare, hanno sviluppato un nuovo senso di responsabilità. Rifarei tutto, anche se non sempre è stato tutto facile e gratificante.

Ora sono qui, al don Orione di Bergamo dal mese di settembre 2020. Per ora sono sfuggito al COVID 19, ma mi rendo conto che sono anch’io sempre appeso ad un filo, e come tutti, sempre di più nelle mani di Dio.

Non nego di aver fatto fatica a lasciare i miei “Signori” e gli amici di Santa Maria la Longa, ma so che è la Provvidenza che tesse i fili della storia, anche quella personale. Prendere coscienza di questo è consolante Vivendo con loro ho scoperto che la demenza è una malattia del cervello e non del cuore e che le emozioni non sono una malattia. Vedere gli occhi lucidi nei Signori, negli operatori e anche quelli dei parenti, mi ha aiutato a prendere coscienza che le persone sono capaci di vivere le loro emozioni e che hanno voglia di continuare ad esistere. L’impegno mio e l’impegno di tutti gli operatori era di conseguenza quello di cercare di operare delle scelte concrete per favorire una vita di qualità che potesse essere considerata il meno indegna di questo appellativo.

Sono a Bergamo e sono felice di esserci. Mi piace condividere la vita dei nostri anziani, mi ci ritrovo nei loro racconti e in molte delle loro esperienze. Sono tutti una ricchissima biblioteca vivente. E’ bello condividere alcuni loro momenti; trovo gratificante quando si raccontano, quando raccontano le tradizioni dei loro paesi; mi diverto giocare a tombola con loro, anche se di tanto in tanto “baro” un pochino per animare il gioco. L’animatrice, attenta e talvolta complice, nega il premio facendo scattare così le proteste di alcune signore che tifano per me: “Ha vinto. Gli devi dare il suo premio … “. Adorabili le mie nonne!

Vivere per quanto possibile con loro e accanto a loro, mi aiuta a scoprire tutto il bello che c’è in nella persona e anche quello che sono ancora capaci di donare.

Fra le mie passioni c’è sempre stata quella dei fiori e del giardinaggio. Devo purtroppo ammettere di non essere più in grado di vangare, sarchiare il terreno, piantare e coltivare i fiori. Giardiniere? È il mio mestiere di prete che fa di me un giardiniere al don Orione di  Bergamo.

Giardiniere che contempla i germogli di bontà presenti negli operatori: sono i frutti del Vangelo che i botanisti della Chiesa hanno seminato nel tempo e che si chiamano Fede, Speranza e Carità.  Giardiniere sotto il sole e sotto la pioggia, che semina nelle lacrime e lascia che i sacerdoti, gli educatori, gli operatori raccolgano con gioia un sorriso e l’ultimo respiro di tanti amici, per presentarli poi al Buon Dio che li accoglie e li coccola come solo lui sa fare.

Un giardiniere che ha bisogno della collaborazione di tutti, perché solo assieme possiamo realizzare il sogno di don Orione di “vedere e servire Cristo nell’uomo”. Sono un giardiniere felice perché ormai il mio giardino è la terra degli uomini, la terra intera, e credetemi: “Colui che pianta non è nulla, colui che innaffia conta poco. Solo Dio
è importante, è lui che fa crescere. (1Co 3,7)

 

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