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Chirignago – Ciao Nerio!

Chirignago – Ciao Nerio!

Le mura delle Case dell’opera Don Orione racchiudono molte storie di vita. Chi ci abita o chi ci lavora anche per questo le chiama Casa e non semplicemente struttura o centro. All’interno di queste case si vive, e si fa di tutto per far vivere, nello stesso modo in cui vivono nelle altre case: si lavora, si fa sport, si mangia il proprio cibo preferito, ci si riposa, si ride e si scherza, ci si ammala, si muore.

Questa è la storia di Nerio, che ha vissuto nella casa di Chirignago, conosciuta come Centro Don Orione, dal 1979 fino ad oggi: quasi quarant’anni, una vita intera. Nerio è stato salutato ieri, giorno della commemorazione dei defunti, dai suoi compagni e familiari.

Leggere la sua vita ci aiuta a capire meglio il significato profondo del concetto di Qualità di Vita, tema che da diversi anni orienta gli sofrzi degli operatori in tutte le realtà orionine che accolgono persone fragili, anziani o disabili. Nella sua storia, troviamo tutto quello che fa qualità di vita: l’individualità, il sentirsi accolto e amato, il legame con la propria famiglia di origine, la crescita personale, l’autonomia.

Nerio nasce il 12 maggio del 1943. Figlio di genitori emigrati per lavoro in Libia, a Tripoli, Nerio cresce, amatissimo dalla famiglia, coltivando interessi e passioni artistiche. Eredita dal padre la mano per la pittura, specie ad olio, ispirandosi ai grandi artisti (incredibilmente simile all’originale “I mangiatori di patate” di Van Gogh) ed è molto legato alla madre, una signora estremamente bella ed intelligente.
Anche il cinema e la lettura fanno parte integrante di questo suo mondo fatto di timidezze, introversioni e fin da giovane in qualche modo “ritirato” dal mondo: gli piacciono infatti i grandi autori russi (Tolstoij, Dostoevskij) e Kafka.
Completa la terza media, prende il patentino per la conduzione delle caldaie, prende anche la patente di guida. Purtroppo però il disagio psichico si fa piano piano largo nella sua vita, fino a culminare nel momento in cui riceve la chiamata alla leva militare, intorno ai vent’anni.
Sempre estremamente mite e schivo, ma altrettanto determinato a rifiutare ciò che le regole sociali gli imponevano, viene inserito in diversi ospedali psichiatrici fino a che, mutato il vento della cultura intorno alla salute mentale grazie anche alla Legge Basaglia, approda all’allora Istituto don Orione, nel 1979.

In questo luogo, che lui stesso chiamava “casa”, libero da costrizioni, la sua mente, pur segnata dalla malattia psichica, si placa e trova nuove dimensioni: la possibilità di uscire ogni giorno, con qualsiasi tempo, di utilizzare i mezzi di trasporto e, a modo suo, di rapportarsi con il contesto sociale, senza fare mai del male a nessuno.
Ha saputo conservare i rapporti familiari, specie con il fratello Francesco e la cognata Rosalba.
Sfuggente rispetto a qualsiasi avvicinamento e contatto fisico, negli ultimi giorni, dal letto, chiedeva continuamente al fratello la mano da stringere.

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