
Genova – Mani, zampe e coperte: quando la cura è senza confini
Al Villaggio della Carità un gruppo di signore lavora a maglia per riscaldare i cani del canile
Solo la carità salverà il mondo, ci ricorda Don Orione in uno dei suoi motti più conosciuti. Ed è la virtù della carità che ha infiammato il nostro Santo fondatore nella sua opera, e che ne ha caratterizzato l’impegno apostolico e civile. In questa storia che ha come sfondo il Piccolo Cottolengo Genovese, la carità e il carisma orionino si snodano tra le pieghe della fragilità, nelle vite di uomini e animali, dando una forma inconsueta al prendersi cura, una forma che ha zampe e una coda scodinzolante.
Tutto ha inizio nel freddo dell’inverno, con la lettura di un giornale e una richiesta di aiuto particolare. «Tra le attività che svolgiamo con i nostri ospiti, la lettura dei quotidiani è uno dei momenti più attesi della settimana – racconta Ilaria Croce, animatrice geriatrica del Villaggio della Carità di Don Orione, una delle case della costellazione del Piccolo Cottolengo Genovese. «Qualche tempo fa sulle pagine del quotidiano locale “Il Secolo XIX” ci siamo imbattuti in un appello per i cani del canile bisognosi di coperte per ripararsi dal freddo». È così che la carità inizia letteralmente a tessere la sua trama tra un gruppo di signore unite dalla passione per il lavoro a maglia e i cani del Canile del Monte Gazzo, un rifugio nato nel 1969 con il contribuito di Rina Govi, moglie del celebre attore e inventore del teatro dialettale genovese Gilberto, e che oggi accoglie una sessantina di cani e circa settanta gatti.
«Il lavoro è lungo – spiega Giovannina Montuori, classe 1944 – ma mi piace farlo. Quando abbiamo letto che al canile avevano bisogno di copertine, c’è venuto l’istinto di fare. Io ho avuto tanti animali, un coniglio e anche un dobermann che si chiamava Jessica di cui sento ancora la mancanza. Ci ha lasciati a nove anni per una malattia».
Con i ferri tra le dita, si intrecciano i fili di lana e i ricordi di una vita. «Quando ero ragazza – continua il suo racconto Giovannina – andavo dalle suore per imparare a cucire. Poi ho iniziato a collaborare con un piccolo laboratorio di sartoria. Non ero stipendiata e mi dovevo accontentare delle mance che mi davano le clienti. Ho imparato il mestiere guardando gli altri lavorare e stando attenta a ogni dettaglio. Come mi diceva sempre mia mamma, impara l’arte e mettila da parte. Quando mi sono sposata, saper fare la maglia mi è servito. Per mio figlio Massimiliano ho confezionato un maglione di lana rossa, mentre per mio marito Emilio, che ora non c’è più, ho realizzato due gilet blu. Era da tanto tempo che non prendevo i ferri in mano, e ricominciare per aiutare i cani del canile è stato bello».
Il piccolo laboratorio operoso della maglia è uno spazio virtuoso in tutti i sensi. Mentre le signore mettono a frutto l’esperienza di una vita attraverso un’attività gratificante e terapeutica, collaboratori e volontari raccolgono e recuperano vecchi avanzi di gomitoli e scampoli di tessuti, che altrimenti andrebbero sprecati e resterebbero inutilizzati. «Si tratta di un progetto socialmente significativo che rafforza l’autostima e che ha dato enorme soddisfazione alle signore – spiega Roberta Cancelli, Direttore Sanitario – Oltre ad allenare competenze cognitive e motorie funzionali al mantenimento delle autonomie, Giovannina e le sue colleghe si sono sentite utili e hanno potuto prendersi cura di qualcun altro. Il nostro lavoro – conclude – ruota intorno al paradigma della qualità di vita; occuparsi solo del corpo non basta per garantire il benessere».
Tra le signore che sferruzzano c’è anche Zita Signoretto, ben 98 anni e un sorriso smagliante, arrivata a Genova per amore di un marinaio che diventerà suo marito. Zita mostra con orgoglio il prodotto del suo lavoro mentre Simon e Odette, due meticci adottati al Monte Gazzo in visita al Villaggio in rappresentanza dei quadrupedi ancora in attesa di trovare famiglia, curiosano scodinzolanti. «Lavoro a maglia da quando avevo 7 anni – ricorda Zita mostrando una coperta color verde bosco a punto rasato – Sono più di novant’anni che lo faccio. Ho imparato dalle suore al mio paese in provincia di Verona, e poi è diventata una passione. Confeziono di tutto, soprattutto per i miei nipoti: canottiere, sciarpe, berretti. Fare le coperte per i cagnolini è un piacere».
Anche Zita come Giovannina ci tiene a spiegare quanto sia laborioso e impegnativo il suo compito. «Vede – richiama l’attenzione intrecciando velocemente le dita – stavo proprio finendo questa coperta. Ci vuole tempo, ma per fortuna non serve che siano grandi. Basta che siano calde. Mio nipote – sorride ironica e compiaciuta – dorme con il gatto, il cane… e con la moglie! Per lui la coperta ci vorrebbe matrimoniale».
Lavorando a maglia si condividono aneddoti, ci si sente parte di una comunità e, uniti da un obiettivo condiviso, si coopera. Giovannina posa per un attimo i suoi ferri per aiutare Maria Rosa Sciaccaluga ad avvoltolare della lana rosa per formare un gomitolo. Anche Maria Rosa, classe 1947, ha un passato da professionista. Da giovane ha lavorato in un calzificio nel quartiere di Borgoratti e oggi, pur faticando un po’, non si sottrae a dare il suo contributo. «Ero brava nel mio lavoro – racconta; poi allunga una mano verso Simon che le trotterella incontro in cerca di carezze – Che bello che è, è proprio tanto bello. E grande! Mi piacciono gli animali».
Le coperte, una miscellanea coloratissima di manufatti, giungono al Canile del Monte Gazzo per interposta persona. Per Giovannina, Zita e Maria Rosa è un viaggio troppo lungo e impegnativo tra le curve strette delle alture del ponente cittadino, in parte su strada sterrata. Il Monte Gazzo è un via vai di volontari e di cani che si alternano per le passeggiate, un brulicare di umani e animali che accoglie i visitatori con un fragoroso benvenuto. «Qui abbiamo bisogno di tutto – spiega Monica Vappiani, volontaria del canile – Siamo in tanti a darci da fare, ma sempre troppo pochi. L’inverno è duro per i nostri animali e le coperte sono fondamentali per rendere gli ambienti più confortevoli e tenerli al caldo. Sapere da dove provengono, le rende speciali – prosegue Monica mentre Fiona, Lucky e Paul si avvicendano con altri volontari per sgambare nel verde dei sentieri che circondano la zona – Il bene non conosce confini».
Dall’altra parte della città, sulle alture del quartiere di San Fruttuoso, Giovannina, Zita e Maria Rosa aprono le porte della loro maglieria a Piera Sommovigo, Presidente dell’Associazione Amici del Monte Gazzo, arrivata al Villaggio per ringraziarle di persona. «Sapere che i nostri cani possono riscaldarsi con le coperte fatte a mano da queste signore è una gioia – racconta – Il filo della solidarietà ha messo in collegamento due mondi apparentemente lontani producendo qualcosa di estremamente positivo. L’amore per gli animali non si contrappone a quello per gli esseri umani. In qualche modo tutti noi, umani e non, siamo stati utili per il bene di qualcun altro».
Mentre Giovannina, Zita e Maria Rosa continuano a sferruzzare sotto lo sguardo orgoglioso di Ilaria e dell’equipe del Villaggio, Simon e Odette fanno capolino da sotto al tavolo e sembrano ormai sentirsi a casa. Come dare torto, allora, a Don Orione? Solo la carità salverà il mondo!