Lampedusa – Ho sentito che dovevo venire qui oggi a pregare
Don Giovanni Carollo, direttore provinciale, nella giornata dedicata alla festa della Madonna della Divina Provvidenza, ha inviato una lettera ai religiosi orionini.
Riportiamo la sua testimonianza di una visita a Lampedusa, porta d’Europa, luogo del primo viaggio del pontificato di papa Francesco, luogo dove troppi uomini, donne e bambini hanno perso la vita nelle traversate alla ricerca di un futuro migliore.
“Ho sentito che dovevo venire qui oggi a pregare”
Cari Confratelli,
quest’espressione di Papa Francesco, pronunciata nell’omelia della Celebrazione Eucaristica a Lampedusa l’8 luglio del 2013, ha risuonato costantemente in me durante la visita che ho compiuto nell’Isola insieme a don Ugo Rega e a Suor Gabriella Perazzi dal 5 al 7 novembre u.s.
Ci siamo recati desiderosi di toccare con mano il dramma degli sbarchi continui dei migranti da quando è iniziata la cosiddetta “primavera araba”. Ebbene, permettetemi di riportarvi ciò che “abbiamo udito e abbiamo visto”. Vi assicuro che quanto ci viene riportato dai mass media è la minima parte e soprattutto è funzionale a chi vuole mediare la notizia.
Appena approdati a Lampedusa, accompagnati dal Vicario generale della Diocesi di Agrigento, siamo stati accolti dal sorriso e dalla disponibilità fraterna del Parroco, in quel momento unico sacerdote sull’Isola. Ci siamo sentiti a casa, in famiglia, se pur più vicini all’Africa che all’Italia. Uno spirito di famiglia che contraddistingue la gente, come ha voluto evidenziare anche Papa Francesco: “Voglio ringraziare una volta in più voi, lampedusani, per l’esempio di amore, per l’esempio di carità, per l’esempio di accoglienza che ci state dando, che avete dato e che ancora ci date. Grazie per la vostra testimonianza”.
È vero il rischio di scadere nel sentimentalismo, nel pietismo, ma vi parlo con il cuore e cuore a cuore: abbiamo incontrato il Signore! Quando, infatti, ci siamo recati al molo per accogliere una quarantina di migranti che arrivavano dopo una lunga e sofferta notte in mezzo al mare, sfilando in ordine ed in silenzio, con occhi stanchi e smarriti, offrendo loro un sorriso insieme a qualcosa da mangiare, da bere e da indossare, lì abbiamo incontrato Gesù migrante e profugo.
Tra loro è spuntata una mamma con un bambino di appena un mese, se non meno: come non vedervi Maria con il Bambino Gesù che scappavano dalla ferocia di Erode verso l’Egitto? Sì, non voglio essere poetico e spiritualizzare l’evento, ma Gesù è approdato a Lampedusa nelle sue fattezze di un neonato povero ed indifeso, di una donna sfinita dalla stanchezza, di giovani smarriti ed impauriti, ma che non si arrendono alla speranza di incontrare un mondo migliore e uomini più umani.
Poi ci incontriamo con Enzo, un pescatore dell’Isola e ci racconta ciò che i nostri orecchi non vorrebbero mai ascoltare e di cui i mass media ci risparmiano. Enzo, il “Pietro” della situazione, così lo ha definito don Ugo. Egli, infatti, ha pescato in mare bambini, uomini e donne sia vivi che morti. E mentre parlava, con visibile commozione nel volto, ha sottolineato più volte la generosa accoglienza dei lampedusani che in un giorno si sono visti arrivare più di 10.000 migranti. Tutte le porte del cuore e delle case si sono aperte, perché “ero forestiero e mi avete ospitato”.
Ci tengo a sottolineare che Lampedusa è diventata l’Isola delle contraddizioni, non per la sua gente, ma per colpa di coloro che “gestiscono questo traffico umano” e speculano ed usufruiscono delle sue bellezze naturali. Vi sbarcano, nello stesso tempo, ricchi turisti e poveri disperati; vi approdano barche di lusso e barche di fortuna che spesso affondano; ci sono hotel lussuosi e la gabbia inaccessibile dell’hotspot per i migranti.
Permettetemi, cari Confratelli, di ripetere a noi stessi la domanda che Papa Benedetto pronunciò ad alta voce al campo di concentramento di Auschtwitz: “Dio dov’era” in quel momento, mentre l’uomo compiva azioni così disumane? Con coraggio, il Pontefice ammise: “Era qui!”. Possiamo affermarlo con fede a Lampedusa, con la consapevolezza delle parole tante impegnative di Don Orione: “Vedere e servire nell’uomo il Figlio dell’Uomo”.
Dobbiamo imparare a vedere: è il motivo per cui ci siamo recati a Lampedusa.
Dobbiamo imparare a servire: è il motivo per cui, ci auguriamo come Famiglia carismatica, di piantare una tenda a Lampedusa.
I segni del Signore, favorevoli a questa apertura, sono stati tanti ed espliciti, anche se adesso non li racconto per iscritto, ma avrò modo di parlarvene personalmente. E, allora, cosa dobbiamo fondare, cosa dobbiamo fare? Sono le domande più immediate. Permettetemi di essere schietto: non dobbiamo aprire né fondare nulla, ma di una cosa sola c’è bisogno: umanizzare lo sbarco! Tutto il resto è nelle mani della Divina Provvidenza.
Certamente, come ci ha riportato il Parroco, si lavora pastoralmente su due fronti: migranti e lampedusani. L’Isola, in inverno, conta 6.000 abitanti, di cui 1.000 tra bambini, ragazzi e giovani e circa 2.500 militari. In estate, viene presa d’assalto da circa 20.000 turisti.
Concludo questa breve testimonianza, invitandovi a pregare per questo “sogno orionino” e ad aprire il vostro cuore ad un’eventuale richiesta di disponibilità ad incontrare e a servire il Signore a Lampedusa. Dio ci benedica e affidiamoci alla Madre della Divina Provvidenza. Buona festa a tutti!
Fraternamente,
Don Giovanni Carollo