XXIX Domenica del Tempo Ordinario – La logica della croce
Nel viaggio verso Gerusalemme si avvicinano a Gesù Giacomo e Giovanni, che chiedono a Gesù quello che noi chiameremmo una “raccomandazione”.
Nonostante il terzo annuncio della passione, si fa fatica a cogliere il messaggio di Gesù, a entrare nella logica della croce, a capire che la gloria di Gesù e del discepolo è la stessa.
Se i discepoli non avevano ancora capito e lo faranno pienamente solo dopo la Resurrezione, noi abbiamo alle spalle secoli di cristianesimo. Ma il carrierismo è un’erba difficile da estirpare.
Nella sua risposta, Gesù ribadisce qual è la vera grandezza del discepolo: bere lo stesso calice che egli ha bevuto nel Getsemani, ricevere lo stesso battesimo. Solo così si partecipa al suo destino.
Perchè il Figlio dell’Uomo non è venuto per essere servito, ma per servire. Da quando il Figlio è entrato nella nostra storia e ha percorso la via della croce, tutti i criteri di priorità si sono capovolti. La dignità di una persona non sta nel posto che occupa, nel successo che ottiene, la grandezza si misura solamente sullo spirito di servizio.
E il modello del servizio è Gesù Cristo, il maestro che lava i piedi, il buon pastore che ci porta sulle sue spalle quando siamo feriti e stanchi.
Don Orione scriveva: “E vorrei farmi cibo spirituale per i miei fratelli che hanno fame e sete di verità e di Dio; vorrei vestire di Dio gli ignudi, dare la luce di Dio ai ciechi e ai bramosi di maggior luce, aprire i cuori alle innumerevoli miserie umane e farmi servo dei servi distribuendo la mia vita ai più indigenti e derelitti; vorrei diventare lo stolto di Cristo e vivere e morire della stoltezza della carità per i miei fratelli!”.