XXIII Domenica del Tempo Ordinario – Guarisci la nostra sordità
Gesù si è recato nella regione di Tiro e Sidone, dove guarisce prima la figlia di una donna siro-fenicia, e mentre si reca verso il mare della Galilea, gli presentano un sordomuto. Nel testo si legge che ci troviamo nel territorio della Decapoli, un territorio pagano di città di cultura ellenistica.
Gesù davanti al sordomuto compie alcuni gesti, descritti con lo stile essenziale e plastico di Marco: lo porta in disparte, gli pone le dita negli orecchi, gli tocca la lingua, guarda verso il Cielo e parla.
Per prima cosa Gesù lo conduce lontano dalla folla, non vuole dare pubblicità al gesto che sta per compiere. Gli tocca lingua e orecchie, per ripristinare il contatto con quell’uomo bloccato nella comunicazione. Ma il miracolo è un dono dall’alto: per questo implora il Padre alzando gli occhi al Cielo poi comanda “apriti!”.
Questi gesti sono entrati nel rito del Battesimo: dopo la consegna della veste bianca, e dell’accensione della candela al cero pasquale, c’è infatti il rito dell’effetà, che in aramaico vuol dire appunto “apriti”. Il rito ricorda l’importanza dell’ascolto e della professione di fede.
Il sordomuto viene dunque guarito nel territorio pagano della Decapoli. L’episodio ci riguarda da vicino, perché anche noi possiamo vivere nelle nostre Decapoli, costruite con uno stile di vita che non ha nulla di evangelico.
Questo succede quando siamo sordi e muti davanti alle ingiustizie, alla miseria, allo sfruttamento e alla schiavitù, ma anche quando assumiamo quegli atteggiamenti aspramente criticati dalla seconda lettura di oggi.
L’episodio del Vangelo ci interpella e ci scuote perché spesso noi siamo chiusi in noi stessi, vogliamo essere sordomuti, creando isole inaccessibili e inospitali, senza dialogo e senza ascolto. In questo modo persino i rapporti umani più elementari restano compromessi e si vive male.
Per grazia e misericordia il Signore si avvicina nel territorio della nostra vita per guarire le nostre sordità e le nostre chiusure.