Don Orione, la socialità di un santo
In occasione della ricorrenza della canonizzazione di san Luigi Orione avvenuta il 16 maggio 2004 si celebra la festa liturgica di colui che Pio XII chiamò “padre dei poveri ed insigne benefattore dell’umanità dolorante e abbandonata” e che Giovanni Paolo II, nella proclamazione della sua santità ha riconosciuto quale “meravigliosa e geniale espressione della carità cristiana”.
Anche quest’anno, tra le innumerevoli comunità sparse per il mondo, le manifestazioni pubbliche sono segnate dalle dolorose conseguenze che l’epidemia virale sta portando con sé. Tuttavia, in tutti forte è il desiderio di rinsaldare i valori fondativi della sua Opera nel ricordo della sua figura, ancor oggi capace di illuminare quel sentiero di carità per la salvezza del mondo.
Nel nostro tempo che si proclama sociale, ma che di fatto è costretto a denunciare un continuo disgregarsi della società, la figura di don Orione rimane fonte di insegnamento per una convivenza civile improntata al senso di solidarietà e al rispetto della figura umana, riflesso dell’immagine di Dio.
Don Orione fu uomo e sacerdote moderno, attento alle esigenze dei tempi, in un certo modo precorrendoli. La sua azione in mezzo al popolo seppe farsi concreto segno di speranza nel conforto dalle sciagure e nell’impegno di promozione umana secondo il disegno cristiano. Egli fu, infatti, un apostolo partecipe del dolore e della miseria del mondo con una presenza viva e vivificante che ancora oggi si realizza attraverso le opere della sua Congregazione. “La carità deve essere il nostro ardore, la nostra vita…” sono sue parole che continuano ad infondere quell’anelito che muove l’azione dei suoi eredi nel carisma.
La sua socialità fu piena nell’abbracciare l’uomo nella sua interezza; una socialità non filantropica, ma sospinta dalla necessità di adempimento del messaggio evangelico in cui l’uomo è visto come unità inscindibile di anima e corpo e l’amore come essenza stessa della vita. Con la sua intensa vita interiore e le risorse dei suoi talenti si fece strumento di Provvidenza per andare incontro alle urgenze materiali e spirituali degli uomini del suo tempo, nell’incessante ricerca delle vie più adeguate a raggiungere ogni anima bisognosa di Dio.
I tempi corrono velocemente e noi, che ci vantiamo di portare Cristo, possiamo arrancare dietro loro o addirittura rimanere fermi? Legando la parola di Cristo alle nostre idee o, peggio, ai nostri interessi? La sofferenza di don Orione sta proprio qui: arrivare tardi e in ciò creare un divario tra l’uomo e Dio. Essere alla testa dei tempi per don Orione significava attualizzare costantemente il Vangelo per farne uno strumento di giustizia e testimonianza di carità.
La chiave di lettura della sua vita si trova nella fiducia che costantemente ripose in quella Divina Provvidenza a cui dedicò la sua Congregazione la quale da oltre cento anni continua a vivere mediante i suoi figli spirituali, religiosi e laici, con lo stesso desiderio di portare Cristo al popolo, dando voce specialmente a quella parte più povera e abbandonata, e per riaffermare, ora come allora, che la dignità umana non può essere pesata sulle logiche mercatorie imperanti nel definire lo status della persona secondo la sua funzionalità nel processo produttivo.
Don Orione sapeva che la posizione del mondo sull’uomo basata su valori esclusivamente economici e la pretesa di risolvere tutti i problemi prescindendo dalla carità conduce all’instaurazione di una società disumanizzata. Ed in questo sembra risiedere la radice della socialità orionina: donazione di sé al prossimo con tutto il suo cuore, con tutta la sua mente, con tutta la sua anima.