XXVI Domenica del Tempo Ordinario – Chiamati a lavorare nella vigna
Anche in questa domenica ci viene proposta una parabola, che si trova solo in Matteo. Per comprendere questa parabola è necessario tener presente che essa si colloca dopo un dialogo nel Tempio con i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo che mettono in dubbio l’autorità di Gesù.
La parabola racconta di un uomo con due figli, che vengono inviati dal Padre a lavorare nella vigna. Il primo dice subito di sì, ma poi non ci va. Il secondo all’inizio è svogliato, ma poi va nella vigna a lavorare. “Chi dei due ha compiuto la volontà del Padre?” chiede Gesù.
I due figli stanno a significare due tipi di risposta che gli uomini possono dare all’invito che Dio rivolge a tutti di andare a lavorare nella sua vigna. Sono due tipi diversi di atteggiamento religioso: quello formalistico, del mero e astratto assenso della fede, che non costa molto all’intelligenza e alla volontà e lascia le cose come sono; poi c’è la religione delle opere, che attuano le esigenze della fede, ciò costa fatica, da cui il primo impulso a dire di no, per poi riflettere su se stessi e cambiare mentalità.
La conclusione di Gesù è a dir poco sferzante e pungente, anche per noi: “i pubblicani e le prostitute vi passeranno davanti nel Regno dei Cieli”.
Possiamo essere anche noi come quei sommi sacerdoti che si sentono a posto, perché osservano scrupolosamente tutte le prescrizioni ritualistiche, che pronunciano sì molto facili finché la volontà di Dio coincide con la loro.
Dietro a certi sì può nascondersi un adempimento formale e così si può scivolare nell’autosufficienza. Accanto ai sì facili, formali e inconcludenti, ci sono anche i no, che a volte nascondono fatica, timore di non farcela, dubbi, forse anche sentimenti di indegnità. Alle volte dietro ai no che diciamo al Signore c’è una profonda nostalgia del suo amore.
Il Signore chiede a tutti, a chi si crede a posto e a chi confessa le proprie miserie, un cuore libero e aperto per accogliere la sua salvezza, che altro non è che un atto di amore infinito verso tutte le creature, sorpattutto le più fragili ed emarginate.