Anziani e COVID-19 – Troppe parole sulle RSA, sono davvero luoghi pericolosi, focolai di malattia e di morte?
Sui media nazionali nelle ultime settimane si sono spesi fiumi di parole, non sempre buone, circa le RSA, gli anziani e la gestione dell’emergenza Corona Virus. Sembra che d’improvviso il mondo della comunicazione si sia accorto che esistono le RSA, che dentro quelle strutture vivono anche per molti anni persone anziane e fragili e vi operano molte figure professionali unite dalla ricerca di una vita di qualità per i loro ospiti.
Ma cosa sono per la gente le RSA? Che immagine hanno le RSA dopo l’emergenza COVD-19?
La rivista I luoghi della cura, pubblicazione on line dedicata al tema dell’assistenza agli anziani non autosufficienti, ha pubblicato sull’argomento un interessante articolo. Gli autori sono Cristiano Gori del Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università di Trento e Network Non autosufficienza e Marco Trabucchi dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria, Gruppo di Ricerca Geriatrica di Brescia e Network Non autosufficienza. In questa riflessione, gli Autori affrontano diverse opinioni comuni sulle RSA che si possono trovare su giornali, talkshow e social media.
Come primo punto, sottolineano che buona parte dell’attenzione dei media sulle “colpe” ed errori delle RSA riguardo al numero dei decessi al loro interno deriva da una convinzione che questi centri operino in una sorta di vuoto, di autonomia da norme o vincoli regionali. Invece “le diverse scelte (o non scelte) riguardanti sia la verifica delle condizioni degli ospiti sia come muoversi in presenza di pazienti colpiti da Covid-19 sono state fatte dagli enti responsabili delle politiche sanitarie, segnatamente le Regioni, e le residenze sono state chiamate ad attuarle.”
Un’altra posizione sottolinea l’eroismo e l’abnegazione degli operatori delle RSA. Questa idea evidenzia una caratteristica sicuramente positiva, le qualità umane degli operatori, ma rischia di far dimenticare difficoltà strutturali che hanno radici lontane: la formazione degli operatori, gli investimenti mancati sulla cultura del lavoro residenziale, nodi mai sciolti sul contratto e la retribuzione.
Ultimo punto evidenziato da Gori e Trabucchi è “troppa residenzialità = troppi contagi”. Chi sostiene che sarebbe opportuno d’ora in avanti puntare sulla domiciliarità dimentica che ” i concittadini anziani ricorrono alle residenze quando le condizioni di salute richiedono cure qualificate sul piano clinico e assistenziale, che non possono essere prestate in maniera adeguata a casa“.
Gori e Trabucchi concludono soffermandosi sul rischio che l’opinione pubblica, per i prossimi anni, abbia un’immagine fortemente negativa delle RSA, come luoghi di morte e malattia, potenzialmente pericolosi.
La comunità manageriale e professionale delle RSA è chiamata ad uno “sforzo senza precedenti di informazione e comunicazione rivolto alla società italiana per spiegare cosa sono, nella realtà, le strutture residenziali per anziani e per sgomberare il campo da letture superficiali. Strutture indispensabili per garantire la cura adeguata di molti nostri concittadini fragili, dove nell’assoluta maggioranza dei casi questi sono trattati con competenza, delicatezza e attenzione, pur non mancando certamente aree di miglioramento.”