Testimoni del presente – Da ragazza di quartiere a direttore sanitario
A molti oggi posso sembrare quella che ha fatto carriera al Don Orione. Pochi sanno che invece sono quella che in prima battuta si è sempre sentita rifiutata con quella frase che tanto mi ha fatto soffrire “quel posto non è per te, è già di qualcun altro” e che poi, raggiunto ogni nuovo incarico si è anche sentita allontanata da molti ex colleghi. “Quella è la porta” mi dissero un giorno mentre stavo spiegando che volevo aiutarli a star meglio ora che il mio servizio avrebbe dovuto essere dedicato al coordinamento delle risorse.
Ma partiamo dall’inizio.
Don Orione è nella mia vita da quando ho 8 mesi, da quando cioè i miei genitori presero casa proprio di fronte a dove Don Rubino viveva in una baracca di legno. In quella periferia di Pescara, abitata da famiglie umili, io ci sono cresciuta e me lo ricordo perfettamente quel sacerdote orionino, sulla sua topolino mentre andava a prendere i bambini da portare all’asilo che aveva creato. Passando agitava la mano per salutare e mi sorrideva, sempre, in un modo così vero ed affettuoso!
Don Rubino aveva pensato anche ai più grandi: con l’oratorio, un campo di bocce ed un cinema all’aperto quella periferia dimenticata da tutti aveva preso vita e si era animata. E poi arrivò anche Don Giuseppe. Erano l’uno il contrario dell’altro: il primo discreto e sorridente, l’altro burbero e a tratti così infervorato dall’onestà e dalla rettitudine da sembrar arrabbiato con i peccatori oltre che con i peccati. Li accomunava però la dedizione al prossimo e la povertà totale in cui vivevano: niente riscaldamento ed un pasto caldo assicurato solo quando cenavano con le famiglie dei parrocchiani.
Fu grazie alle attività con la chiesa ed il coro che scoprii fin da bambina le attività di quella casa di accoglienza del Don Orione. All’inizio ospitavano solo poliomielitici poi quando arrivò Don Guido vennero accolti anche i bambini con esiti di paralisi cerebrali infantili. E così, se grazie a Don Rubino e Don Giuseppe avevo scoperto la povertà, grazie a Don Guido, io, e tutta Pescara, ci aprimmo davvero al mondo della disabilità: niente più disabili chiusi in casa! i disabili dovevano farsi vedere e socializzare con la città. L’inizio non fu facile, ed ancora oggi chi ha vissuto quei momenti ama raccontare cosa accade. Oggi ci si ride, ma a quel tempo la città era davvero scioccata.
Da ragazza iniziai a frequentare quella struttura davanti a casa come volontaria, e, quando terminata la scuola capii che non avrei potuto permettermi di andare a studiare via per specializzarmi in quell’ambito, guarda caso, proprio in quell’anno venne aperta in città la scuola per terapisti di riabilitazione. Caso o opera di Don Orione?
A me sembrava proprio che Don Orione mi volesse con lui ed invece, dopo un periodo da tirocinante, quando terminata la scuola ormai pensavo di essere assunta qualcuno mi disse: “quel posto non è per te, è già di qualcun altro”
Ci soffrì molto, sì, ma decisi, di continuare a fare volontariato presso di loro. Amavo quel modo diverso di seguire ed accompagnare i disabili, con quella continuità, con quella cura così differente.
Così la mia giornata classica per un lungo periodo fu questa: sveglia alle 5 del mattino per andare a lavorare in un altro ospedale dove ero stata assunta subito, poi volontariato dalle 14 alle 20 nel reparto di fisioterapia del Don Orione e poi fino a mezzanotte, dato che nel frattempo mi ero iscritta a medicina, studio.
E quel perseverare per amore diede i suoi frutti: quello che era stato assunto dopo poco scelse di andarsene e così io venni assunta.
Terminata la laurea però mi trovai ad un altro bivio: non c’era posto per me al Don Orione come medico, ma io scelsi di rimanere comunque e così durante la specialistica, lavorai come terapista, seppur già medico. Il mio desiderio prioritario era quello di accompagnare i miei pazienti, per la gran parte con patologie respiratorie, nel percorso di cura, così alternavo i miei ruoli, per poter dare anche il supporto medico di mia competenza, con la serenità che gli stessi pazienti rinforzavano affidandosi a me. Poi venne il momento del riconoscimento: un medico scelse di andarsene nel pubblico ed io ne presi il posto.
Furono anni davvero intensi e ricchi di apprendimento.
Eravamo all’avanguardia: Don Guido fu il primo ad attivare tra il 75 e l’88 un’equipe multidisciplinare per seguire i disabili. Qualcosa che oggi ci sembra scontato, ma allora eravamo davvero “la testa del tempo”. A dire il vero ancora oggi siamo i soli a Pescara ed in Abruzzo ad offrire la riabilitazione cardiorespiratoria e la riabilitazione dei linfodemi secondari a patologia oncologica, in setting ambulatoriale e domiciliare
Quella spinta costante di Don Guido a capire sempre meglio la disabilità, le sue complesse e variegate necessità, mi contagiò da subito ed ora che sono direttore sanitario, so che il mio compito è di contagiare tutti in questo.
E… a proposito, per chi non lo avesse ancora immaginato, logicamente, anche quando si è trattato di diventare direttore sanitario non ho potuto dire: buona la prima!
Anche in quel caso, la scelta nei miei confronti fu la conseguenza di altri declini.
Ora, ripensandoci, mi chiedo se tutti quei rifiuti iniziali sono stati necessari per mettermi alla prova, per testare se davvero ero decisa a perseverare nell’amore e con amore. Credo che Don Orione volesse che io rinforzassi lo spirito di servizio alla persona, in umiltà, indipendentemente dai riconoscimenti altrui.
Per certo so che non è sempre stato facile. Vivere certe dinamiche nei rapporti con quelli che ho sempre considerato e rispettato come “compagni di viaggio” e sostenere un impegno totalizzante di lavoro e di studio, che mi allontanava spesso dalla famiglia.
Ricordo per esempio il senso di colpa che avevo quando lasciavo i miei due figli con la febbre a mia madre per andare dai miei disabili… che gioia dopo tanti anni leggere l’articolo che mio figlio Andrea ha scritto sui disabili! Che gioia sapere di aver contagiato anche lui e l’altro mio figlio, in questo amore.
Già l’amore, l’amore per le persone, l’amore per il mio lavoro, quell’amore che permette l’incontro intimo con le persone, siano esse ospiti, disabili, colleghi o capi… Perché è proprio in quell’incontro intimo che quando arrivano le difficoltà senti che c’è qualcosa di più grande e forte che ti porta a superare ogni cosa e a non conservare rancore.
E che cos’è questa cosa più grande e forte?
Mentre vi scrivo questa storia quella forza io ce l’ho qui alle mie spalle, è Don Orione, che mi ha accompagnato nel condividere e perseverare sempre, giorno dopo giorno, la bellezza del mio lavoro.
Perseverare nell’amore richiede pazienza, certo, perché i frutti dell’amore arrivano quando è il loro tempo, non quando vogliamo noi, altrimenti sarebbero i frutti della nostra volontà.
Ma ora io lo so, ciò che dà frutti è perseverare con amore e nell’amore, con la forza che Don Orione e la condivisione della quotidianità ci regalano.
Eccoci arrivati alla fine della mia storia.
Cerco di vivere i miei compiti, non semplici, con lo spirito di servizio alla persona, perché questo mi aiuta ad incontrare le persone, mi sostiene nelle mie fragilità, mi arricchisce nella forza e nella bellezza del mio essere moglie, madre, figlia, medico, direttore sanitario.
Questa è la mia storia: da ragazza di quartiere a Direttore Sanitario!