Disuguaglianze in aumento: serve uno sguardo a lungo termine
A differenza di ciò che accade nei Paesi in via di sviluppo, nelle nazioni avanzate stanno crescendo pericolosamente le disuguaglianze di reddito. Le cause sono da ricercarsi nel fenomeno della globalizzazione, nei cambiamenti tecnologici, nell’aumento del reddito da capitale, nelle trasformazioni del mercato lavorativo. È quanto sostengono i due studiosi Devis Geron e Tiziano Vecchiato nell’articolo “Come cambiano le disuguaglianze”, pubblicato su Studi Zancan 1/2018.
Secondo la Banca d’Italia (indagine 2018) il 30% delle famiglie italiane più povere rappresenta l’1% della ricchezza nazionale e circa il 75% di tali famiglie è a rischio povertà. Di contro il 30% dei nuclei più ricchi detiene il 75% della ricchezza complessiva e ben più del 40% di questo patrimonio è posseduto dal 5% della popolazione. Il reddito principale delle famiglie più abbienti è dovuto non ad attività lavorativa ma al capitale, motivo per cui esse non hanno subito la crisi del mercato del lavoro. I ricchi sono i primi ad avvantaggiarsi della ripresa economica e fra i primi a risentire dell’andamento positivo o negativo dei mercati finanziari. Le famiglie più povere, al contrario, risentono pesantemente dell’instabilità socio-economica del Paese.
Sempre la Banca d’Italia denuncia una disuguaglianza legata al territorio e alle generazioni: al Sud la percentuale di persone a rischio povertà è passata dal 19,6% del 2006 al 22,9% del 2016. In questo decennio hanno avuto maggiori problemi economici le famiglie con capofamiglia giovane, mentre hanno resistito meglio quelle con capofamiglia pensionato. Difficoltà anche per i nuclei con capofamiglia lavoratore dipendente o autonomo o in condizione non lavorativa. Nel Sud Italia il 13,3% di cittadini vive in una famiglia senza reddito.
Una situazione simile si registra anche nei Paesi OCSE: qui in media il 10% delle famiglie più ricche detiene la metà della ricchezza globale, mentre il 40% dei nuclei meno abbienti possiede appena il 3% del patrimonio totale.
L’aumento della disuguaglianza è dannoso anche e soprattutto per la crescita economica a lungo termine. “L’ossessione degli utili a breve (economici e politici) impedisce sguardi di più lungo periodo, necessari per fare spazio alla costruzione autentica del bene comune”.
Contribuisce alla crescita delle disuguaglianze anche la diminuzione della capacità distributiva. Obiettivo del welfare dovrebbe essere quello di raccogliere e redistribuire in modo equo e coerente, favorendo la coesione e la giustizia sociale, nell’osservanza del dettato costituzionale. Ma ciò non sta avvenendo, anzi sta aggravando il gap fra ceti sociali. Mentre negli ultimi la spesa sanitaria si è stabilizzata, l’assistenza sociale mostra un’incapacità di distribuzione equa dei servizi e delle prestazioni. La spesa assistenziale dovrebbe essere per eccellenza lo strumento di riduzione delle diseguaglianze ma in alcuni casi non solo non lo è ma contribuisce ad acuirle. È quello che viene definito dai due autori il welfare “degenerativo” e che richiede interventi e politiche che affrontino alla radice i problemi.