Genova – Questa è la vita al PCDO!
La notizia della morte di Angelina Torrieri, riportata ieri, può sembrare una notizia di scarso interesse per i più, come mai parlarne ancora? Angelina è un esempio di come si vive ogni giorno al Piccolo Cottolengo, è la testimone nei suoi gesti e nei suoi sguardi sorridenti della Qualità di Vita incarnata. Riportiamo un articolo del giornalino del Piccolo Cottolengo Genovese (dicembre 2006), scritto dall’allora direttore, Don Germano Corona. Nelle sue parole, possiamo gustare uno spaccato della vita quotidiana al Piccolo Cottolengo, una vita semplice e vera.
Angelina fa capolino in mensa e, se vede che l’aria è quella giusta, entra e… “Buona sera, Fernando caro (è Don Ferdinando, il vice direttore), buona sera Feturo” (ossia Don Arturo, il vice parroco). Al direttore riserva un saluto particolare: “Dio ti budisca (= Dio ti benedica) e ti dia otto mogli e otto figli”. Tento di farle capire il mio imbarazzo nel sistemare le eventuali otto suocere, ma la sua consecutio temporum è già in riserva. Poi passa ad aggiornarci sul maestro, sull’Isa, sulla Norma, sulla Maria, su quella brontolona della suora e finisce immancabilmente dicendo che chi non sapeva niente si è preso trent’anni di galera e chi sapeva qualcosa si è buscato un sàssero, ossia l’ergastolo. Cara Angelina! Sono cinquant’anni che, aggirandoti per il Cottolengo, lo illumini con il filo diretto che hai con quelli di Lassù. Adesso, della giovane della copertina che era lei (la foto che accompagna l’articolo ritrae Angelina ragazza, ndr), le è rimasto lo sguardo trasognato. Se ne va per i corridoi ciabattando, guardando avanti, quasi dicendo con sicura certa fede: “Dai, vedrai che ce la faremo”. La guardo negli occhi, l’Angelina, e quanto più faticano a razionalizzare il presente, che tra poco non sarà più né suo né mio, tanto più squarciano brandelli di quello che ti appartiene maggiormente.
Non mi cimento più nelle letture ponderose, preferisco le snelle, meno sussiegose. Per questo rimango colpito da brevi pensieri, aforismi, massime che mi possono balzare agli occhi e di articoli in chiusura. Ultimamente, a più riprese, mi sono imbattuto in Etty, vezzeggiativo di Ester, Hillesum, una giovane ebrea eliminata a ventinove anni ad Auschwitz. Ovviamente lo spessore umano e culturale fra le due, Angelina ed Etty, non da adito a confronti, ma, se appena sollevi le apparenze, ti accorgi che c’è una armonia inusuale. Ed è questa alla quale porgo ascolto.
Dice la Hillesum: “La miseria è veramente terribile, eppure alla sera tardi, quando il giorno si è inabissato dietro di noi, mi capita spesso di camminare di buon passo lungo il filo spinato, e allora dal mio cuore si innalza sempre una voce – non ci posso far niente, è così, è di una forza elementare – e questa voce dice: ‘La vita è una cosa splendida e grande, più tardi dovremo costruire un mondo completamente nuovo. Ad ogni nuovo crimine e orrore dovremo opporre un pezzetto di amore e di bontà che avremo conquistato in noi stessi. Possiamo soffrire, ma non dobbiamo soccombere. E se sopravvivremo intatti a questo tempo, corpo e anima, ma soprattutto anima, senza amarezza, senza odio, allora avremo anche il diritto di dire la nostra parola’ ”.
Un pezzetto d’amore che tu Angelina chiedi ed offri. Stringi una bambina e dai tuoi occhi ti sfugge una segreta domanda, un desiderio che non ti è possibile esprimere: “Perché a me no e ad altre sì?”. Non è vero perché tu non ti poni domande e non le sbatti in faccia agli altri, tu dai risposte disarmanti, trascinandoti dietro la Isa che, trasognata, sorride sempre agli angioli e ripeti con la Etty:
“Ti prometto una cosa, Dio, soltanto una piccola cosa: cercherò di non appesantire l’oggi con i pesi delle mie preoccupazioni per il domani. Cercherò di aiutarti affinché tu non venga distrutto dentro di me, e cioè che tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dover aiutare te”.
Si apre un altro anno. C’è stata, come sempre, la corsa verso il vuoto riempito di vacuità. Ricercheremo approdi e insenature irreali; tenteremo di arginare l’onda che monta dalle profondità del nostro essere. Mi auguro di incontrare Angelina o Etty e ripetere con loro: “Cercherò di aiutarti affinché Tu non venga distrutto dentro di me, ma a priori non posso promettere nulla. Una cosa, però diventa sempre più evidente per me, e cioè che tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dover aiutare te e in questo modo aiutiamo noi stessi. L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio. Sì, mio Dio, sembra che tu non possa fare molto per modificare le circostanze attuali, ma anch’esse fanno parte di questa vita. Io non chiamo in causa la tua responsabilità, più tardi sarai tu a dichiarare responsabili
noi. E quasi a ogni battito del mio cuore, cresce la mia certezza: tu non puoi aiutarci, ma tocca a noi aiutare te, difendere fino all’ultimo la tua casa in noi”.
Dal treno che la portava dal campo di lavoro a quello di sterminio lanciava una cartolina postale: “Abbiamo lasciatoil campo cantando”.
Dalla Angelina non aspettiamoci profondità di pensiero ma soltano un: “Dio vi budisca”. Buon anno a tutti.
don Germano Corona