Il regalo della Madonna del Carmine
L’episodio è raccontato dal curato della parrocchia di san Michele in Tortona – annessa alla casa madre dell’Opera – quando ancora non era passata ai figli della Divina Provvidenza. Scrive dunque don Alberto Garaventa: «(…) Predicavo una di tali novene in onore della Madonna del Carmine, nella parrocchia di san Michele in Tortona.
Alla sera della vigilia, ad infervorare il mio numeroso uditorio, promettevo a tutti, a nome della Vergine santa, una bella grazia che la Madonna senz’altro avrebbe elargita l’indomani, giorno della festa carmelitana.
Che volete? A sentire la mia calda perorazione era arrivato tra la folla proprio in quel momento, reduce da Genova, il caro don Orione.
Finita la predica, mi avvio per scendere i due gra¬dini che portano in sacrestia, e incontro lui, li nella penombra, col viso nascosto tra le mani, curvo fino a terra. Si alza per lasciarmi scendere, mi precede in sacrestia, mi aiuta a deporre la stola, mi prende per mano, mi bacia in fronte!
Aveva il solito pallore sul viso, appariva profonda¬mente commosso. Gli occhi erano umidi di pianto, e la voce gli tremava nel sommesso parlare. “Senti, mi dice; a me la grazia la Madonna me l’ha fatta la vigilia!”. Estrae dalla tasca una busta gialla, gonfia, me la porge e mi dice: “Conta tu che io non posso, mi tremano le mani”. Ubbidisco, sorpreso dall’improvvisa, inattesa, commovente scena. Quarantamila lire! “Hai contato giusto, prosegue. Ma a Genova ne ho depositate altrettante, perché, sai, la prudenza non è mai troppa. Avevo un impegno gravissimo proprio domani e la Madonna, alla vigilia della sua festa, mi è venuta in soccorso. Eccoti uno spunto per la predica di domani!”. E scomparve per la porticina.
Alla prima luce dell’alba del giorno seguente, don Orione aveva celebrato in San Michele col solito fervore, nel più profondo raccoglimento. Dalla tasca di quella logora veste sporgeva ancora, insieme al fazzolettone blu, la busta gonfia della sera! “Lei va a rischio di perder la busta, don Orione: non ha una tasca interna, un portafoglio in cui riporre la somma più al sicuro?”. “Ma va là… non sai che io sono… ministro senza portafoglio? A che mi servirebbe un portafoglio se fra dieci minuti non avrò più neppur la busta?”.
In tanti anni dì vita familiare, a contatto con lui, in nessun momento, in nessuna occasione, alcuno di noi può dire di aver visto don Orione con fra le mani un borsellino – che lui chiamava marsupio – od un portafoglio!
Era infatti questa la norma della sua vita, come del resto quella di tutti i santi: che “per aver tutto, bisogna dar via tutto” e che per giungere in alto, alla vetta della perfezione bisogna convintamente persuadersi di essere in basso… e riconoscere e confessare la propria infamia!»
Tratto da “I fioretti di Don Orione” i Andrea Gemma – 2002 Ed. Dehoniane Bologna.